La celebre canzone del cantautore genovese Fabrizio De André, composta nel 1964, si innesta nel solco della disapprovazione pressoché unanime dell’uomo nei confronti della guerra, a partire soprattutto dalla fine del Secondo conflitto mondiale. La crudeltà, l’inutilità, l’idiozia dello scontro armato, sostituiscono l’esaltazione perdurante fino a pochi decenni prima della retorica basata sugli ideali quali la patria, l’eroismo, il valore del combattimento.
La struttura risulta quella tipica della ballata popolare, dove l’artista fonde i due linguaggi, quello musicale e quello narrativo poetico, in un’unica forma espressiva, basandola su di una narrazione a due piani, una esterna diretta al protagonista ed espressa in seconda persona, l’altra a questa ben armonizzata, che esprime in prima persona i pensieri dello stesso.
Il racconto in quartine mira a far emergere dallo sfondo assurdo della guerra il vagare amareggiato e disgustato di un soldato solo, in un inverno triste e rigido che rattrista il passo, tra campi disseminati di cadaveri e che lo separano dalla frontiera nemica.
La voce del narratore esterno interviene con l’esortazione, rivolta al protagonista, di fermare il cammino ed ascoltare come tutto intorno parli di morte, il quale però non presta attenzione e continua ligio alla follia del dovere imposto dall’alto, mentre il tempo passa ed il traguardo si avvicina inesorabile.
Beffardamente è primavera, simbolo della pienezza e bellezza della vita, quando avviene l’inevitabile incontro con un soldato nemico anch’esso parimenti afflitto.
La voce narrante di nuovo interviene per ammonire a sparare per primo al fine di salvare la vita, ma avviene l’inevitabile, si compie l’azione emblematica e coraggiosa dell’antieroe, che perde la vita a causa della esitazione a sparare all’avversario dettata dal rifiuto di guardare in faccia la morte, mentre l’altro non riesce a ricambiargli il gesto profondamente umanitario e pietoso, prevalendo in lui il naturale istinto di autoconservazione.
La mirabile descrizione della tragica fine del personaggio chiave che introduce la canzone viene ripetuta identica nell’ultima strofa, a sottolinearne la centralità della composizione, aggiungendo il luogo dove esso giace sepolto, un campo di grano disseminato di mille papaveri rossi, come il sangue che suggella la contraddizione di un maggio che non porta frutti d’amore ma di morte.
Davide Ferrari 21.04.2021
Testo di rifermento:
La guerra di Piero