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Biografia

La nascita

Fabrizio Cristiano De André nasce a Pegli, in via De Nicolay 12, Genova, 18 febbraio 1940. La leggenda racconta che per alleviare le sofferenze del parto, Giuseppe De André, Torino classe 1912, avesse fatto diffondere per le stanze le note di un valzer scritto da Gino Marinuzzi Senior, “Valzer Campestre”.

Qualche anno più tardi lo stesso motivo farà da base alla canzone “Valzer per un amore”, che, ironia della sorte, durante una sessione di registrazione in studio, permetterà il nascere di un nuovo amore, l’ultimo, il definitivo.

La famiglia in cui nacque Faber, nomignolo che gli verrà attribuito da Paolo Villaggio per l’abitudine che aveva il giovane De André di utilizzare continuamente pastelli Faber-Castell, aveva raggiunto posizioni rilevanti all’interno dell’alta borghesia genovese grazie soprattutto alle capacità del padre: Giuseppe che soleva intrattenere corrispondenza con Benedetto Croce, che gli manifestò sempre la propria stima, si laureò a soli 22 anni in “Lettere e Filosofia” all’Università di Torino. Le sue qualità lo portarono a ricoprire ruoli di rilevanza sia dal punto di vista imprenditoriale che istituzionale.

La madre Luigia Amerio nacque a Pocapaglia (Bra) nel 1911 in una famiglia di viticoltori.

Il matrimonio tra Giuseppe De André e Luigia (Luisa) Amerio si svolse nell’ottobre del 1935 e già nel 1936 nacque Mauro, fratello maggiore di Fabrizio, che a sua volta ricoprirà un ruolo di spicco come avvocato e come dirigente di fama. Si pensi solo che il palazzetto dello sport di Ravenna, il “Pala De André” gli è stato intitolato.

I primi anni

La guerra era ormai alle porte e i primi anni di vita di Faber si svolsero in campagna, a Revignano d’Asti, in una piccola cascina, Cascina dell’Orto, immersa nel verde e nella natura: un’esperienza che Fabrizio non dimenticherà mai. Il suo amore per la vita di campagna lo porterà ad aprire un’azienda agricola in Sardegna molti anni più tardi memore proprio delle sue avventure da bambino. Avventure che venivano perpetrate insieme a una giovane amica, Nina Manfieri, che ricorderà nella canzone “Ho visto Nina volare”. Il padre non sempre presente, tornava al cascinale quando l’occasione lo consentiva.

Insieme alla mamma e al fratello condividevano la vita della cascina anche il mezzadro Emilio Fassio e la moglie Felicina. Emilio fu per Fabrizio uno degli affetti più sinceri e profondi; con i suoi insegnamenti rappresentò uno degli incontri più importanti della sua vita.

Durante questi anni fu attribuito a Fabrizio il nomignolo di “El Bicio”: ancora oggi se si visita il cascinale si può leggere un’insegna che porta proprio questo nome riferendosi a De André.

Mentre la guerra imperversa con i tentativi di razzia da parte dei tedeschi e i bombardamenti che sfiorano il dramma anche lì, alla cascina di Revignano, arriva la tragedia della deportazione del fratello di Luisa Amerio, Francesco, internato nel campo di concentramento di Mannheim. Nonostante la guerra quello fu un periodo molto felice per Fabrizio. Il giovane Bicio impara a conoscere tutti gli aspetti della vita contadina.

Nel 1944 il professor De André si diede alla macchia: aveva avvisato alcuni suoi alunni ebrei nel tentativo di salvarli e per questo ricercato dai fascisti. Ma la fine della guerra era ormai alle porte. Con ciò il ritorno a casa dello zio Francesco, catturato in Albania il giorno dell’armistizio. I racconti dello zio della fame, dei forni crematori, in sintesi delle crudeltà viste e vissute vennero assorbite da Faber in maniera così profonda che circa venti anni dopo ne scaturì uno dei brani più emblematici e più famosi “La guerra di Piero”, entrato a pieno titolo nelle antologie scolastiche.

Il ritorno a Genova

Genova nel 1945 vide il ritorno della famiglia De André questa volta nella casa di via Trieste al numero 13. Fabrizio venne iscritto nel 1946 alla scuola elementare “Istituto suore Marcelline” che lui ribattezzerà “Porcelline”. Mentre il fratello Mauro si dimostrò fin da Revignano, un ottimo e ligio studente, il “Bicio”, al contrario mostrò subito insofferenza verso la disciplina dell’autorità. Per questo l’anno seguente fu trasferito alla scuola “Armando Diaz”, in via Cesare Battisti 5.

Il 1948 fu un anno importante, quello dell’incontro con Paolo Villaggio, di sette anni più grande. Le due famiglie erano molto vicine e questo permise un primo approccio tra i due che, nel futuro si trasformerà in amicizia prima e in collaborazione artistica poi.

Venduto il cascinale di Revignano d’Asti, nel 1951 Fabrizio passò alle scuole medie “Giovanni Pascoli” senza ottenere grandi successi scolastici, interessato com’era alla vita vera, quella dei carruggi. Passò poi alla scuole gesuita della Arecco: era una forma di punizione per una bocciatura rimediata in seconda media, ma episodio di omosessualità indussero il padre Giuseppe a spostare il giovane Fabrizio nell’Istituto Palazzi.

Frattanto, nel 1959 la famiglia si sposta in quella che è Villa Saluzzo Bombrini, nel quartiere Albaro, storica dimora ottocentesca più conosciuta col nome di Villa Paradiso. Sarà dimora della famiglia De André sino al 1995.

Il liceo classico Colombo fu la tappa successiva della carriera scolastica di Faber. Qui veleggiava appena sopra la sufficienza mostrando chiaro interesse solo per la musica. La madre Luisa sperava di avere un violinista in casa, ma si dovette “accontentare” di un giovane menestrello con la chitarra in mano, invaghitosi degli chansonnier francesi, su tutti George Brassens.

Fu proprio Brassens ad essere il suo “maestro di pensiero” e non è un caso siano le sue le canzoni più tradotte da Faber nel corso della sua carriera artistica. Molte delle storie raccontate dal cantautore francese, che non volle mai conoscere in vita per paura di sfatare il mito, combaciavano con quella vita che incontrava nella Genova dei carruggi. Inoltre approfondì la lettura anarchica: Bakunin e Malatesta, Kropotkin e Stirner su tutti.

Durante gli studi universitari, se di studi si può parlare, queste conoscenze furono approfondite e le velleità artistiche si tradussero in vere e proprie esperienze teatrali, insieme all’ormai inseparabile amico Paolo Villaggio, con cui, proprio in questi anni scrisse “Il fannullone” e, soprattutto, “Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers”, brano che recò qualche problema legale tanto che parte del testo dovette essere modificato per imposizione censoria.

Oltre a girovagare per i carruggi alla ricerca di quella umanità che non potevano incontrare negli ambienti borghesi familiari, e che porteranno alla stesura di brani come “La città vecchia” o “Via del campo”, i due si esibivano alla “Borsa di Arlecchino”, il teatro seminterrato ospitato nei fondi del Palazzo della Borsa.

Proprio in questi anni l’incontro con Enrica “Puny” Rignon, sua prima moglie e madre del figlio Cristiano, a sua volta cantautore e musicista. I due si sposarono nel luglio del 1962 e Fabrizio all’epoca, lavorava in una delle scuole dirette dal professor Giuseppe De André

Le prime opere

La sua prima composizione è ufficialmente datata 1961, si tratta della “Ballata del Miché” anche se il primo 45giri che porta la sua firma, “Nuvole barocche” e “E fu la notte”, viene datato erroneamente 1958 va, in realtà, collocato anch’esso 1961. Per stile e temi si può tranquillamente pensare che la prima canzone scritta sia quasi di certo quella che racconta le vicende del Miché piuttosto che le altre due.

Da qui in poi, sforna per l’etichetta Karim, una serie di brani che diventeranno memorabili soprattutto dopo il 1966, quando Mina, cantando in televisione “La canzone di Marinella” rimescola le carte della vita di Faber. I proventi SIAE, che allora permettevano di acquistare un piccolo appartamento, gli fecero pensare che forse avrebbe potuto vivere di musica. Lasciò quindi gli studi universitari. Proprio nel 1966 uscì sottoforma di LP, “Tutto Fabrizio De André”, una raccolta dei primi 45giri Karim.

Nel frattempo conobbe Luigi Tenco, in una delle tante notti genovesi e il poeta Riccardo Mannerini, rimasto cieco a seguito di un incidente. Entrambi giocheranno un ruolo importante nella carriera di questi primi anni: Tenco portò al cinema il brano “La ballata dell’eroe”, presente nel film “La cuccagna” di Luciano Salce che vede lo stesso Luigi tra i protagonisti.

Alla morte di Tenco, nel 1967, Fabrizio fu il solo collega presente ai funerali.

Riccardo Mannerini, “poeta vero” come lo descriveva Fabrizio fu fondamentale per la stesura del primo concept-album pensato interamente per l’incisione in formato LP: “Tutti morimmo a stento”. Soprattutto per quel che concerne il brano di apertura “Cantico dei drogati”, tratto da una poesia “Eroina” di Mannerini contenuta nel libro “Un poeta cieco di rabbia”. Ma quest’album vedrà anche la partecipazione di Giuseppe Bentivoglio, importante nel futuro e soprattutto del maestro Gianfranco Reverberi, arrangiatore di De André per gran parte delle sue composizione almeno fino agli anni ’70.

La Karim era già stata abbandonata nel frattempo a seguito di una causa intentata da Mauro per conto del fratello. La Bluebell Records, che diventerà Produttori Associati, era diventata l’etichetta per la quale incise De André fino alla chiusura della stessa. Il suo produttore, il capace Antonio “Tony” Casetta.

Gli anni ’70

Dopo i primi album “Volume 1”, “Tutti morimmo a stento” e “Volume 3”, di cui solo al secondo può essere attribuito l’appellativo di concept, mente gli altri due sono una raccolta di nuove e vecchie canzoni e traduzioni, anche se di caratura, De André affronta temi decisamente più importanti a partire dagli anni ’70, la cui prima metà vede lo sfornare di 3 album concettuali che passeranno alla storia.

La buona novella

I vangeli apocrifi, o nascosti, detti così perché si differenziano da quelli canonici perché non riconosciuti ufficialmente dalla Chiesa, fiorirono dal I e IV secolo d.C. Furono la fonte di ispirazione di questo concept album pensato per far esaltare la figura umana e anarchica di Cristo. Nato nel contesto sessantottino quest’opera non fu subito colta nella sua essenza allegorica ma risulta essere per liriche, scritto in italiano, un lavoro ad altissimo livello

Non al denaro non all’amore né al cielo

“L’antologia di Spoon River” di Edgar L. Masters è la fonte da cui liberamente viene tratto questo album. Fu l’occasione di incontro di De André con Fernanda Pivano, che fu la prima traduttrice dell’opera in Italia. L’amicizia tra i due fu continuativa e indissolubile. A livello artistico fu l’occasione di approfondire la collaborazione con Giuseppe Bentivoglio e soprattutto con un giovane Nicola Piovani che inizialmente doveva essere solamente l’arrangiatore dell’opera ma che, affrontando il lavoro divenne poi coautore delle musiche.

Storia di un impiegato

Questo fu il concept-album in cui Fabrizio dichiarava apertamente il proprio credo sociale e, in senso ampio, politico. Non ebbe un riferimento letterario diversamente dai due album precedenti ma elaborò un soggetto del tutto originale. Vide per l’ultima volta la collaborazione con l’accoppiata Bentivoglio e Piovani. Risulta essere uno degli album più amati dal pubblico di Faber.

La crisi

Al di là del singolo “Il pescatore”, canzone isolata che venne poi inserita in una serie di antologie, la metà degli anni ’70 fu protagonista di una duplice crisi, l’una probabilmente figlia dell’altra: il matrimonio con la prima moglie, “Puny”, stava ormai naufragando e questo si ripercosse sulla stesura delle opere. Un primo album, nel ’74 raccoglieva traduzioni di Cohen, Dylan e Brassens e vecchie canzoni incise nuovamente, soprattutto per motivi di diritti discografici, e fu l’occasione di un primo incontro con un giovane cantautore romano, Francesco De Gregori, che a De André era stato accostato dalla critica musicale.

Fu il 1975 l’anno che vide la stesura e la registrazione di “Volume 8”, l’ottavo lavoro in studio, scritto a quattro mani con De Gregori. Album che risente della sua influenza stilistica, ma che raccoglie due brani, testimonianza del momento particolare della vita di De André: “Giugno ’73” e soprattutto “Amico fragile”, sfogo contro le ipocrisie e la vacuità del mondo borghese.

Fu in questo periodo che cominciò la relazione con Dori Ghezzi. I due si erano incontrati già di sfuggita qualche anno prima durante una serata di premiazione, ma fu dopo la seconda metà degli anni ’70 che cominciò la frequentazione.

Le turné

Fabrizio fu sempre restio a presentarsi sul palco per concerti “in presa diretta”. Soprattutto per l’agitazione che l’esibirsi gli procurava e in secondo luogo perché pensava che la distanza che si crea tra chi sta sul palco e chi sotto ad ascoltare l’avrebbe posto su un piedistallo, per l’appunto, cioè in una posizione di “superiorità”.

La sua resistenza cadde, a fronte anche di una offerta economicamente irrinunciabile, nel 1975 quando esordì a “La Bussola” luogo di ritrovo della borghesia in vacanza in Versilia. I suoi timori, in realtà vero e proprio terrore, che riequilibrava con una notevole gradazione alcolica a base di whiskey, rischiarono di far saltare la prima: Paolo Villaggio e Marco Ferreri lo trascinarono letteralmente sul palco. Con il supporto musicale di gran parte dei membri del gruppo dei “New Trolls” con i quali aveva collaborato nell’album “Senza orario e senza bandiera”, scritto insieme a Riccardo Mannerini, si esibì: fu un successo.

La cosa lo rincurò tanto che, da allora in poi, non vi nessun album in uscita senza che vi si associasse la relativà turné. Quella più famosa, sicuramente, è del dicembre 1978 e gennaio 1979 insieme alla Premiata Forneria Marconi che rivisitò molti vecchi brani vestendoli di nuovo.

Fecero seguito turné anche estere negli anni ’80 e negli anni ’90 in concomitanza con l’uscita degli album “L’indiano” (detto così per via della copertina che ritrae un nativo pellerossa), “Creuza de ma”, “Le nuvole”, “Anime Salve” e della raccolta “Mi innamoravo di tutto”. Va segnalata una turné teatrale nei primi anni ’90 non collegata ad alcuna uscita discografica.

Il sequestro

I proventi ottenuti dalle uscite discografiche e dalle turné portarono De André a ripensare la sua vita lontano da Genova, per rincorrere un vecchio amore di infanzia: la vita contadina.

Acquistò, alla fine degli anni ’70, in Sardegna, vicino a Tempio Pausania, una tenuta agricola a scopo di allevamento: con gli anni è diventato un agriturismo di lusso. In questi anni, dalla relazione con Dori Ghezzi nacque Luisa Vittoria, detta Luvi.

La sera del 27 agosto 1979 Dori e Fabrizio furono sequestrati e rimasero prigionieri dell’Anonima Sequestri per quattro mesi. La drammatica esperienza non cancellò tuttavia l’amore di Fabrizio per la sua terra d’adozione; tant’è vero che non vi è traccia di rancore nelle dichiarazioni da lui rilasciate dopo la liberazione: “I rapitori – disse – erano gentilissimi, quasi materni… Ricordo che uno di loro una sera aveva bevuto un po’ di grappa di troppo e si lasciò andare fino a dire che non godeva certo della nostra situazione”.

Gli anni ’80

L’esperienza del sequestro e la vita in Sardegna spinsero alla stesura, insieme a Massimo Bubola che già aveva collaborato con De André nell’album “Rimini”, dell’album “Fabrizio De André” (detto Indiano). Un album che paragonava la vita dei nativi nordamericani a quella del popolo sardo.

Ci fu, soprattutto, un cambio di orizzonte artistico con il successivo lavoro, quello della svolta sotto una serie di punti di vista. Prima di tutto sotto l’aspetto della mera produzione artistica: per la prima volta, insieme a Mauro Pagani, studioso di musica etnica oltreché notevole poli-strumentista e autore, divenne produttore artistico di se stesso. Scommise cioè su stesso.

E la scomessa fu effettivamente con un alto grado di rischio dal momento che si lavorò alla stesura di un album che giunse alla registrazione con suoni completamente nuovi per l’epoca e con l’uso di una lingua a stampo dialettale: il genovese. Un genovese però sui generis, antico, che bene si sposava con il racconto “mediterraneo” dell’album: “Creuza de ma” (Mulattiera di mare).

Nonostante le ritrosie della casa discografica che sperava di vendere “almeno qualche copia a Genova”, questo lavoro discografico riscosse un successo, come detto, inaspettato e per certi versi risolutivo dell’indirizzo stilistico che da lì in avanti fu scelto da De André per la stesura delle successive opere.

La seconda metà degli anni ’80 fu quella delle dure separazioni. Prima fra tutte quella con padre, il professor Giuseppe, che morirà all’età di 72 anni facendosi promettere, in punto di morte, da Faber che avrebbe smesso con l’alcool. La promessa fu mantenuta. Era il 1985.

“Alla morte di mio padre, almeno, eravamo preparati: era anziano. Ma Mauro…”. Era l’estate del1989 quando il fratello Mauro, colpito da un aneurisma, morì.

Alla fine dello stesso anno dopo quindici anni di convivenza lui e Dori Ghezzi si sposarono, testimone di nozze l’amico Beppe Grillo.

Gli anni ’90

Ormai Fabrizio faceva uscire album con la cadenza di 6 anni di distanza. Dal 1984, anno di “Creuza de ma” solo altri due album videro la luce: “Le nuvole” nel 1990 e “Anime Salve” nel 1996.

La turné del 1991 e soprattutto quella del 1992 in corrispondenza con le Colombiane, in cui si intendeva festeggiare la scoperta dell’America da parte della città di Genova, vide De André prendere nettamente e coerentemente le distanze, ricordando anzi lo sterminio degli Indiani d’America.

Il 3 gennaio 1995, all’età di ottantatré anni, venne a mancare la madre Luisa, unica della famiglia a morire di vecchiaia.

Anime salve, scritto in collaborazione con Ivano Fossati, fu l’ultimo album in studio, Nello stesso anno pubblica presso Einaudi Un destino ridicolo, romanzo scritto a quattro mani con Alessandro Gennari. Vi sia associò una turné nei palazzetti dello Sport.

Nel 1997 fu pubblicato “Mi innamoravo di tutto”, raccolta di vecchi brani scelti dall’autore, fra cui spiccano la versione originale di “Bocca di rosa” e una nuova versione de “La canzone di Marinella cantata” in duetto con Mina, ultimo brano registrato in studio. Insieme l’ultima turné teatrale di cui si ricorda l’esibizione al teatro “Brancaccio” di Roma registrata e trasmessa, postuma, dai canali RAI.

Nell’estate del 1998 fu costretto a interrompere il tour. La tac, eseguita il 25 agosto, non lasciava speranze: tumore ai polmoni.

Appena pochi mesi dopo, alle ore 2.15 di notte dell’11 gennaio 1999, Fabrizio moriva presso l’Istituto Tumori di Milano, dov’era ricoverato, assistito sino all’ultimo momento dai suoi cari. Avrebbe compiuto 59 anni solo un mese più tardi.

Una folla commossa, di oltre diecimila persone, ha seguito i suoi funerali, svoltisi il 13 gennaio nella Basilica di Carignano, a Genova. Su quel mare di umanità svettavano la bandiera del Genoa e quella anarchica.

Riposa al cimitero di Staglieno, a Genova, nella cappella di famiglia.