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Inverno

Malgrado l’interpretazione – certo arbitraria e personale – di un testo sia quanto di più intimo possa esistere, bando alla timidezza, riporto le sensazioni che ha suscitato e continua a suscitare in me “Inverno”.

L’introduzione, strumentale, è lenta. Dapprima triste, si apre, quasi che il cuore goda della sua mestizia. Sembra raggomitolarsi in attimi di intensa melanconia, che un paesaggio in sé arido gli provoca.

Infatti…
“Sale la nebbia sui prati bianchi
come un cipresso nei camposanti
un campanile che non sembra vero
segna il confine fra la terra e il cielo”.

Il candore del campo, determinato dalla foschia, ci impedisce di percepire la realtà così com‘è. Ogni particolare si confonde, trasmuta. Il campanile si fa “cipresso”, evocazione del cimitero e della “morte”, che, costante, incombe sulle nostre sorti. Proprio la torre è l’unico riferimento che consente di discernere due piani, “la terra e il cielo”, che si presentano come un retaggio – il solo! – dell’Esistente. Non c’è altro! Due piani, per l’appunto, ed una linea, ad esser sinceri immaginaria – perché sformata, alterata dal nostro sguardo – che si pone perpendicolare. E taglia …

“Ma tu che vai, ma tu rimani
vedrai la neve se ne andrà domani
rifioriranno le gioie passate
col vento caldo di un’altra estate”

Compare l’Uomo. Chi è? Beh, potremmo essere noi, o qualcun altro. Poco importa. Ciò che conta, piuttosto, è quel suo “andare” e “rimanere”. L’indecisione che è instabilità, un terreno che i piedi, il corpo avvertono cedevole, insicuro e per ciò rischioso, genera la consapevolezza – “muta” – di un transeunte. La provvisorietà, la caducità della nostra condizione è il tema centrale di una poetica intera, quella di De André. Ma, se fosse semplice tormento, denigreremmo l’autore. Lo riterremmo banale, superficiale .. C’è di più! La precarietà investe la Natura stessa e con essa lo spirito di noi spettatori. Difatti, la neve sparirà! Rifioriranno (l’allusione alla primavera è fin troppo palese!) le gioie “passate”, col vento caldo – un vento che stride col gelo che oggi pervade i nostri cuori – di un’altra estate. L’estate è “un’altra”. Non è “la” stagione, ma una delle tante che ricorrono, così come s’alternano in noi gioia e disperazione, ira e quiete, odio ed amore. La vita è, quindi, un insieme composito di momenti, avviluppati ad una costante che siamo … la costante siamo “noi”.

“Anche la luce sembra morire
nell’ombra incerta di un divenire
dove anche l’alba diventa sera
e i volti sembrano teschi di cera”

In un simile contesto, anche la luce, anzi “finanche” la luce “sembra” morire. Nulla è più potente della luce. Essa è vita, forza ed è, per comune sentire, l‘elemento che incarna il Dio in persona. Eppure, pare che ceda. Meglio, “sembra” che ceda .. Il verbo “sembrare” è ripetuto spesso, ad indicare che ci troviamo di fronte ad una proiezione introspettiva che non ha alcunché di assoluto, oggettivo. Splendido è poi il verso “nell’ombra incerta di un divenire”. Poche parole esprimono quel “continuo mutare”, quel persistente tremolio che è il senso profondo della canzone. A conferma dello smarrimento che ne discende, “l’alba diventa sera” e i “volti” per noi oramai indistinguibili “teschi di cera”.

“Ma tu che vai, ma tu rimani
anche la neve morirà domani
l’amore ancora ci passerà vicino
nella stagione del biancospino”.

Ecco ancora che ci coglie la visione d’una condizione, la nostra, vacillante e passeggera. Ma il domani, la felicità tornerà e, sciolta la neve, ci regalerà un amore, che non sarà – bisogna ammetterlo – il solo di un‘esistenza, ma, benché uno dei pochi o dei tanti, si rivela fondamentale per la rinascita.

“La terra stanca sotto la neve
dorme il silenzio di un sonno greve
l’inverno raccoglie la sua fatica
di mille secoli, da un’alba antica”

Ora non è così. In attesa di tempi migliori, perfino la terra è stanca. E dorme il silenzio di un sonno greve, giacché il sopore è indotto da un carico insostenibile che pur ci appare come dolcissimo candore. Che fatica invece! Una fatica che si perpetua nei secoli, da un’alba antica. La luminosità permea l’opera dall’inizio alla fine. In ogni istante ci si pone dinanzi.

“Ma tu che stai, perché rimani?
Un altro inverno tornerà domani
cadrà altra neve a consolare i campi
cadrà altra neve sui camposanti”.

Torna il tema dominante di una lirica ineguagliabile.

Non dimentichiamolo, ci sarà un domani e, con esso, un altro inverno! Cadrà, dunque, altra neve.

L’intreccio altalenante di sentimenti, emozioni, stati d’animo si ripresenterà in un gioco (paradossalmente) eterno che, per l’ennesima volta, è tutto ciò che abbiamo.

Ci piaccia o non ci piaccia, siamo.. noi.

 


Testo di rifermento:
Inverno