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Il Pescatore

“Il pescatore” penso possa essere riconosciuta come la ballata più conosciuta ed emblematica dell’alto pensiero e raffinata poesia in musica di Fabrizio De Andrè, rimasti pur affinandosi, fedeli a se stessi durante tutta la sua produzione intellettuale. Si può intendere come una sorta di manifesto per la predilezione verso i personaggi “borderline”, cui si contrappone come spesso accade la “legge” del potere costituito.

Si narra di un incontro casuale e rapido tra un assassino ricercato e un umile pescatore, scevro da cerimoniali e domande; si potrebbe dire quasi indifferente nel percorso di vita dei due personaggi.

Ma questa presunta indifferenza si tramuta subito, grazie all’atmosfera creata magistralmente dal cantautore genovese, in una solidarietà fatta di sinceri rapporti umani fra due persone.

L’assassino manifesta subito la sua latitanza, come subito, senza inutili perdite di tempo, chiede con fiducia e senza violenza di rifocillarsi confessando nel contempo il proprio peccato.

Una empatia che si crea senza bisogno di essere narrata, dimostrata dalla reazione del pescatore che può sembrare ai molti benpensanti che affollano tutte le epoche, sorprendente; esaudendo i desideri del fuggitivo senza domande e reticenze, dipingendo una normalità di comportamento inusuale, donandogli vicinanza e calore sia pure di un momento.

È già tempo che il fuggitivo riparta, mischiandosi al soffio del vento verso un futuro incerto ed avventuroso, con davanti agli occhi ancora il sole, la possibilità cioè di incontrare la retta via, quella che indica il vecchio con il suo gesto da coscienza e guida.

Ma è proprio questa vicenda sospesa fra sogno e realtà che porta ad immaginifiche relazioni umane semplici, quasi primordiali, tipiche di una età oramai lontana, infantile e pura, come il gioco di un bambino in un cortile d’aprile, il mese della Pasqua, il mese in cui si spezza il pane e il vino, senza bisogno di difese di fronte al mondo.

La cruda realtà del vivere si presenta presto, sotto le spoglie dei gendarmi, che lasciano però impassibile il pescatore che manco si degna di rispondere loro, preferendo tornare a dormire/sognare in un meriggio estivo che volge al termine.

“L’ombra dell’ultimo sole”, metafora del crepuscolo della vita che con il tempo e le fatiche hanno segnato il viso del protagonista, ma appaiono non come una ruga o una ferita ma piuttosto come qualcosa di sereno e difficile da precisare, “come una specie di sorriso”, sornione ai fatti del mondo, come può esserlo solo quello di chi lo conosce a fondo, felice dell’aiuto e della possibilità fornita ad un giovane di rifarsi una vita.

Il finale coincide con l’inizio indicando un tempo non trascorso o presto rimosso.

La legge scritta dal potere laico e mondano viene quasi irriso ma senza essere giudicato, semplicemente fra il protagonista ed i gendarmi non c’e’ niente da discutere, non meritando l’attenzione di uno sguardo o di una parola.

Si potrebbe ampliare il significato della composizione avvicinandolo alla esperienza di una eucaristia, come spesso De Andrè ha fatto, rintracciando la metafora della chiesa di Cristo. Non a caso il protagonista è un pescatore di uomini come Pietro, “L’ombra dell’ultimo sole” il crepuscolo della vita visto con “una specie di sorriso”, in modo disincantato, pacato e quieto.

L’assassino che lo incontra sul cammino ripone subito fiducia in lui e, oltre che a chiedergli pane e vino gli confessa il proprio peccato.

Segno di una forte sofferenza interiore cui il pescatore, risvegliandosi dal torpore e senza nemmeno guardarsi attorno agisce non preoccupandosi di quanto succeda attorno, non bada ai gendarmi, ma somministra il pane e il vino, inequivocabile metafora dell’eucarestia.


Testo di rifermento:
Il pescatore